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ospita l’arte e mettila da parte

| danilo giaffreda

Fuori l’esuberanza del barocco, dentro la tabula rasa. Fuori la solarità più accecante, dentro il buio che azzera. Fuori l’ostentazione della ricchezza che si fa decoro, dentro la sottrazione che si fa silenzio.

Il coraggio dei contrasti, forti, violenti ha preso casa, anzi palazzo, a Galatina, elegante e defilata enclave della ricca borghesia salentina, meglio nota per il mito delle tarantolate raccontato da Ernesto Di Martino e il mitico pasticciotto dell’ostico Ascalone.

Non sono salentini, però, gli autori di questa sfida, di questa invasione di ultra-modernità tra mura antiche e pietre sfiancate dallo scalpello, ma due che del Salento si sono innamorati, che sul Salento hanno investito e che nel Salento ritrovano, dopo tanto viaggiare, apparire e curiosare per il mondo un rapporto intimo e incruento con la quotidianità delle piccole cose, dell’immobilità, dell’osservare la vita tenendosene alla giusta e indolore distanza.

Antonio Scolari e Christian Pizzinini, collezionisti, comunicatori e designer, non sono arrivati qui sull’onda della scoperta recente e insolente del Salento, ma per un amore che risale a tempi non sospetti e che li ha portati in altri e diversi luoghi prima di scoprire Galatina e la sua distanza siderale e aristocratica dal chiasso e l’imbarbarimento della costa e della sua prossimità.

Diversamente da altri pacifici invasori in cerca di un buen retiro in cui semplicemente isolarsi e isolare, non si sono accontentati di acquistare, restaurare e arredare splendidamente il settecentesco Palazzo Mongiò dell’Elefante per viverci sei mesi all’anno e accogliere amici, conoscenti e appassionati d’arte, ma hanno deciso anche di condividerne la bellezza e la storia aprendo le porte all’arte e al pubblico che la ama e la cerca.

Sono stati sette gli artisti che la scorsa estate sono stati chiamati a dialogare e confrontarsi con il tema della luce tra volte a stella, pavimenti originali, arredi e oggetti di Giò Ponti, Luigi Caccia Dominioni, Michele De Lucchi, Achille e Pier Giacomo Castiglioni.

Tra questi pregnante e densa di metafore l’opera site specific di Giovanni Lamorgese, che nell’androne d’ingresso è riuscito a cancellare di colpo l’insostenibile peso del barocco creando, grazie all’uso del nero totale, un effetto di straniamento totale nel passaggio cruciale tra esterno e interno, tra pubblico e privato, tra un mondo arcaico e sonnolento e la modernità disinvolta e spregiudicata di Antonio e Christian.

A Palazzo Mongiò dell’Elefante nell’arte e con l’arte si può anche soggiornare grazie a una elegante e confortevole guest-house di tre stanze al piano nobile, ma  loro, gli anfitrioni, abitano all’ultimo piano, circondati da una grande terrazza con vista mozzafiato sui tetti di Galatina.

Qui è tutto calma, lusso e voluttà – per dirla alla Baudelaire – e anche se la luce dall’esterno, accecante e copiosa, è lì a ricordarti, come tutto a mezzogiorno, che la vita è tragedia, inganno e brevità loro, gli anfitrioni, l’urgenza e la necessità di viverla tutta, intensamente e al massimo, complice l’immortalità dell’arte, le hanno capite da tempo.

Palazzo Mongiò dell’Elefante
Via Ottavio Scalfo 44-46-48
Galatina (LE)
cell. 338.8543309 – 338.4033738

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