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le mani, la bocca

| danilo giaffreda

No, non è l’incipit della lezione di italiano sentimentale dello spot di Armani a firma di Martin Scorsese del lontano 1986. Qui si parla di organi e di sensi. Quelli coinvolti – e scossi – al cospetto, e all’assaggio, di una potente raffica di piatti preparati sotto i miei occhi da Mauricio Zillo in una delle sue ultime cene al Rebelot. E anche una delle ultime in Italia, perché presto, insieme al suo sous-chef, il pugliese Francesco Ruggiero, tornerà a dilettare Parigi, da dove era partito per arrivare, a Milano, dritto nel cuore di quanti hanno avuto la fortuna di sedersi al banco della cucina a vista e vederlo creare da pochi, semplici ingredienti, piccole epifanie del gusto.

Perché è proprio dritto al cuore che arrivano, attraverso la complessità della bocca, che le traduce, le composizioni che le mani di Mauricio, instancabili – pulendo, sbucciando, affettando e manipolando senza nessun ausilio chimico o tecnologico – creano con pochi e sicuri gesti.

Mani che freneticamente portano alla bocca, per assaggiarli, ingredienti – pesce, carne, frutta e verdura felicemente insieme senza pregiudizio alcuno – apparentemente dissonanti e inconciliabili.

Mani che sommano, nel piatto, come su una tela, il cotto e il crudo, l’acido e il basico, il dolce e il salato, il fresco e il caldo, il morbido e il croccante, il sud e il nord in uno schizofrenico annullarsi o esaltarsi a vicenda.

Poi, in bocca, al palato o, meglio, a quella complessa e insondabile geografia orale che chiamiamo distrattamente palato, il caos diventa improvvisamente ordine e chiarezza, il tumulto creativo si trasfigura in equilibrio magico e risolutivo di contrasti, spinte, tumulti e rimpalli. Di gusti, consistenze, temperature e trame. Di sfumature, morbidezze e asperità.

La bocca è il medium tra le sue mani e la tua mente. Tra le sue mani e il tuo cuore. Tra le sue mani e il tuo ventre. E le sue mani, in bocca, non tradiscono. Non c’è incertezza, dissonanza o crepa. Non c’è inganno, furbizia o scappatoia. Non c’è stanchezza, ripetitività o mestiere. Non ci sono parentesi, virgolette o incisi. Non ci sono strizzatine d’occhio, allusioni o ammiccamenti.

Tutto è fresco, naturale e istintivo. Tutto è diretto, immediato e comprensibile. Tutto è sorpresa, sorriso e divertimento. La cucina di Mauricio Zillo è la cucina di una mente aperta, curiosa, vivace e spregiudicata. E’ il frutto di contaminazioni e affrancamenti, di culture diverse e del loro rispetto, di studio e conoscenza approfondita di ogni ingrediente utilizzato, di passione autentica per il proprio mestiere, di esigenza di freschezza e qualità senza mediazioni, della capacità rara di conciliare il proprio appagamento e quello del cliente.

Come mettere insieme, diversamente, radicchio tardivo, nocciole piemontesi, bottarga, alghe e gelato di ricci senza rischiare un linciaggio?

O cipolla di Comiso, crema di finocchi, emulsione di pistacchio e limone, pistacchi, cicerchie, aneto e olive taggiasche fritte senza provocare una guerra civile?

O seppioline “scarpetta” dell’Adriatico nappate al nero di sesamo, cicorino, mela al bergamotto e crema di rapa bianca senza scatenare le ire dei puristi del mare?

O asparago bianco di Bassano, arancia, fave fresche, acqua di puntarelle, succo di limone e bergamotto senza inimicarsi per questo i carnivori?

O, infine, rapa bianca, rossa e verde, mela e lumache senza farti sentire necessariamente un elfo del sottobosco?

Mauricio Zillo ha osato questo e tanto altro, con umiltà e coraggio, diventando in breve – lui, brasiliano – uno degli interpreti più originali e interessanti dei grandi prodotti italiani, dai più umili ai più preziosi. Tra i migliori a Milano, tra i più promettenti al mondo. Se per caso vi fosse sfuggito, prenotate al più presto un volo per Parigi. Dove cucinerà non sarà difficile saperlo. Lo sapremo presto, molto presto.

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