il mare di fronte

La nuova toponomastica l’ha ribattezzata Viale dei Micenei, una volta era la Litoranea Salentina, ma per noi indigeni era e rimane – per antonomasia – “la Litoranea”. Negli anni ’80 e ’90, prima delle rotatorie e delle estati in città con arene, dehors e movida sul lungomare, era la Costa Brava di noi tarantini. Perennemente assediata dal traffico, in estate, per via dei tanti locali che la costellavano: gelaterie, pizzerie, discoteche, discobar, ristorantini vista mare, giostrine, mercatini, bar di piccoli alberghi per famiglie e paninerie. D’inverno, invece, come cantava la Bertè, tutto chiuso, manifesti pubblicitari sbiaditi, stanche parabole di vecchi gabbiani e noi giovani, rimasti soli, a cercare un caffè. Uno dei pochi esercizi commerciali aperti tutto l’anno era La Barca di Ciro, con il banco del pesce ad anticipare il ristorante con terrazza pieds dans l’eau. Autentica cucina di mare magistralmente eseguita dalla moglie Giuseppina e Ciro in sala a remare in mezzo ai tavoli assecondando desiderata di ogni genere in tema marino. Io ci andavo spesso con mio padre a comprare il pesce, sempre freschissimo, pescato giornalmente nelle acque antistanti, e qualche volta decidevamo di farcelo cucinare direttamente sul posto. Oggi lo fanno in molti, ormai, ma allora la pescheria con cucina era avanguardia, una novità assoluta in tempi non sospetti. Oggi, dopo anni di coraggiosa e tenace resistenza alle tante, troppe, metamorfosi della ristorazione, quell’insegna induce ancora – complice un rilevatore di velocità – a rallentare e, per chi ne conosce la storia e il valore, a fermarsi per una meritoria pausa. In sala c’è Saverio, figlio di Ciro, oste nato e ormai navigato, stazza importante ma di insospettabile lievità tra i tavoli a dispensare sorrisi e consigli, perché a parte il menù fisso con i capisaldi della cucina marinara interpretati con carattere, a dettare legge e orientare scelte è il pescato quotidiano. In cucina officia con perizia e sicurezza Oronzo Dimitri, cuoco schivo e impermeabile a mode e distrazioni social. La sua è una cucina di mare che bada al sodo, attenta a non snaturare la preziosa materia prima che il mare di fronte gli permette di lavorare, allergica a trick lontani dall’esigenza primaria della proprietà: offrire il mare senza artificio. E’ quello che la clientela si aspetta e che Oronzo rispetta prediligendo le cotture brevi, lasciando integre l’identità e la natura degli ingredienti – di mare o di terra che siano, spesso combinati con perizia -, coordinando armonicamente sapori e consistenze, assecondando e spesso esaltando l’umami naturale del pescato dello Jonio. E non si pensi che in tutto questo l’estetica passi in secondo piano, perché a partire dai plateau di crudi, veri e propri quadri viventi del meglio che il mare possa offrire, l’attenzione alla composizione e alla combinazione di texture, taglie e colori è alta, un’attitudine rara in un ristorante di mare che non vuole definirsi e tantomeno ambire a essere gourmet o fine dining. Perché su questo Oronzo e Saverio hanno le idee molto chiare e in sintonia: La Barca deve continuare a essere quella di Ciro, un approdo sicuro, confortante e familiare, per amanti del mare e della sua cucina più sincera.
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