daniela montinaro, vedi alla voce: macàra
Puoi aver mangiato il pasticciotto, ballato la pizzica, visitato Gallipoli e Otranto, ammirato l’alba dal faro di Punta Palascia e fatto il bagno a Porto Selvaggio, ma non puoi dire di essere stato veramente nel Salento se non sei mi stato da Le Macare. O, meglio, se non hai conosciuto, parlato, riso e brindato con Daniela Montinaro, che del ristorante Le Macàre, ad Alezio, a un tiro di schioppo da Gallipoli, è stata creatrice insieme all’amica sodale e spalla di gag irresistibili Annarita Merenda e ora patronne, ostessa, cuoca, anima e intrattenitrice, affiancata dal figlio Vincenzo in cucina e la figlia Stella in sala, una di quelle imprese familiari, insomma, che sono l’anima della ristorazione italiana. E tuttavia i titoli elencati dicono poco o niente del carattere vulcanico della @macaramadre, come si definisce sui social: una vita sempre vissuta sul filo dell’amore e una mente debordante, curiosa, instancabile e avida di bellezza in tutte le sue forme, hanno forgiato una personalità davanti alla quale è difficile rimanere impassibili. La passione per l’arte, la fotografia, la musica, la letteratura e l’architettura – coltivata sin dall’adolescenza – si manifesta nelle citazioni che spesso accompagnano i suoi post, nell’intensità dei suoi scatti fotografici, nel circondarsi di personaggi interessanti che diventano inevitabilmente suoi amici. Attori e attrici, galleristi, interior designer, grafici, imprenditori, stilisti, musicisti e artisti, sia locali che foresti, compongono una comunità di aficionados che, una volta varcata la soglia de Le Macàre e conosciuta Daniela, tornano a più riprese e lungo tutto l’arco dell’anno a trovarla, quando non è lei – inquieta, stanca e satura di routine e acque placide – a fare i bagagli e partire per andare a trovarli, ovunque essi siano, e condividere con loro quella quotidianità e quella intimità che il tempo seppur non breve di una cena non consente. La magia che sottende questa energia sotterranea che da Alezio si irradia in tutto il Salento, l’Italia e il mondo, non può essere soltanto nella bontà – indiscutibile – dei piatti che Daniela e Vincenzo preparano e portano a tavola; nel comfort, nella rassicurazione e nel piacere che riescono a regalare; nell’atmosfera rilassata, gioviale e informale che regna nelle sale grazie a un servizio impeccabile tutto al femminile; nel ritrovare ogni anno piatti, sorrisi e abbracci così come erano stati scambiati le volte precedenti; nell’essere diventato sempre più negli anni – il ristorante – un landmark, un faro nel caos mutante delle notti estive salentine, un posto – come ebbi a scrivere più di dieci anni fa quando lo scoprii – dove si pratica l’arte della felicità. E non può essere neanche, come recita il pay-off del ristorante, unicamente nella cucina, ambito sul quale spesso si arena il racconto di cronisti veloci e distratti, incapaci di andare oltre l’apparenza di piatti come la zuppetta di cozze, patate e sedano o gli spaghetti con burro affumicato, cozze e colatura di alici, solo per citare alcuni tra i signature più gettonati. L’alchimia, semmai, è nella coerenza che scorre senza soluzione di continuità tra quello che Daniela dice e quello che fa, tra ciò che ama e i suoi piatti, tra i suoi selfie spesso consapevolmente impietosi e i suoi stati d’animo, tra le persone che sceglie di volere accanto e la vitalità che sa di poterne trarre, nel non sottrarsi a giudizi e nel non darli se non costretta da dolori e ingiustizie subite, tra la malattia alla quale è scampata e la voglia ancora più di vivere che ne è conseguita, tra la seduzione – insomma – delle sue ricette e la restituzione del suo carattere che se ne ravvisa boccone dopo boccone, forchettata dopo forchettata. Non c’è forse lei, con la sua forza e al tempo stesso con la sua debolezza, con le sue ferite e i suoi artigli, con il suo sapere essere madre ma anche figlia, in quel capolavoro di equilibrio, profondità e appagamento dei sensi che è la sua pasta mista, patate, scampi e tabasco verde e che non mi stancherò mai di mangiare?
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