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tengo ‘o core italiano

| danilo giaffreda

C’è mancato poco che piangessi.

Certo non era facile trattenere le emozioni. Ovunque mi girassi, lo spettacolo intorno era di bellezza quasi insostenibile. I bagliori argentei del mare prima di insanguinarsi al tramonto, Napoli e il Vesuvio sullo sfondo, Capri e le altre isole del Golfo sagome azzurre a tratti evanescenti, la spiaggia del Bikini incastonata in uno dei tratti più mozzafiato dell’intera Costiera e, forse, anche se non l’ho girato tutto ma fa lo stesso, del mondo. Persino le finte palme al largo, discusso landmark del Bikini, trascendevano l’indubbio kitsch trasformandosi in una fata morgana di esotico abbaglio.

La scusa della serata era la festa della pizza, organizzata da Stefano Bonilli e Maurizio Cortese per il debutto in società della neonata Gazzetta Gastronomica, che riuniva il gotha dei pizzaioli partenopei, campani e nazionali, i migliori artigiani della pasta lievitata, quelli che riescono a trasformare la povertà di farina, acqua, sale e altri pochi ingredienti nella più amata e più copiata e più invidiata tra le specialità gastronomiche italiane.

In realtà, però, si festeggiava l’Italia, i suoi ricchi giacimenti di alto artigianato culinario, di fantastici prodotti della terra, di profumati nettari, di straordinari salumi e formaggi e la passione di tutti quelli che concorrono a tenere in vita questi giacimenti quotidianamente, con grossa fatica, con duro lavoro, spesso incompresi in un mercato che predilige il low-cost e il gusto facile, talvolta con cocenti delusioni, ma anche, come quando ci si ritrova tutti a festeggiarli per poi inseguirli, ammaliati, in ogni angolo del Paese, con grandi soddisfazioni e generosi sorrisi.

Generosità dei sorrisi, luce di orgoglio negli occhi, sicurezza e sapienza dei gesti accompagnavano il dispensare salumi rari e indimenticabili, inebrianti formaggi, carnose e umorose mozzarelle di bufala, soavi ricotte, sapide olive e profumati oli, pomodori di ogni foggia e colore, liquori dai sapori antichi, grani dorati e paste artigianali e poi, ancora, la creatività disinibita, il rutilante gioco delle pizze, la materia plasmata e domata prima di diventare altro nei forni, le sperimentazioni border-line per varcare i confini della tradizione e della consuetudine dei sapori.

Mentre la notte scendeva, Napoli sullo sfondo prendeva fuoco, migliaia di luci tremule sotto la sagoma nera e familiare del vulcano. Non mi sono trattenuto e ho mandato un messaggio telefonico a una coppia di amici napoletani trapiantati da tempo nella mia città.

Ho scritto: “Napoli è l’Inferno, ma ha il Paradiso accanto. Potete essere orgogliosi di avere qui le vostre radici”.

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