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qui si fa la puglia o si muore

| danilo giaffreda

E’ iniziato tutto per caso. Peppe Zullo, sì proprio lui, il cuoco contadino, imprenditore e comunicatore charmant, mi chiama e mi chiede di pensare insieme al tema della diciottesima edizione del suo Appuntamento con la Daunia, l’appuntamento annuale che porta nella sua Orsara, a metà ottobre, giornalisti, intellettuali, produttori, ristoratori e appassionati gourmet, per parlare e festeggiare la terra, i suoi prodotti, la cultura e l’economia che ne conseguono. Io che sono stato in giro per la Puglia tutta l’estate a visitare ristoranti per una guida, ad ascoltare lamentele, pareri e impressioni dei ristoratori, a godere delle loro incredibili cucine e ad osservare attentamente vizi e visi dei clienti intorno a me, non ho dubbi. Dobbiamo parlare di felicità, gli dico. Di cibo e felicità. Della felicità scomparsa dalle tavole dei ristoranti e da quelle delle nostre case. E del cibo che fino a poco fa aveva la forza e la prepotenza di regalarla, la felicità, e poi è diventato virtuale, mediatico, risucchiato dal gorgo della televisione, delle guide, delle classifiche, delle frustrazioni e delle illusioni, merce di scambio per carriere da lanciare o da affossare, un casino insomma. Niente, insomma, della gioia che ci si aspetta da un’esperienza che dovrebbe essere emotiva e si sta trasformando, invece, in palestra di esibizionismo, in confessionale delle aspettative mancate, in seduta psicanalitica per disturbi di ansia da prestazione, in fucina di novelli critici gastronomici presuntuosi e impietosi.

Allora abbiamo deciso che di questo si doveva parlare e parlarne in Puglia, a Orsara, sarebbe stato calzante e programmatico. La Puglia è una terra dove tanti bravi, giovani e appassionati cuochi trasformano fantastici prodotti in emozioni. Ma è anche la terra dove una comunicazione di parte, parziale e scorretta penalizza la promozione e la diffusione del meglio che vi viene prodotto e realizzato. Dove cucine emozionanti e contemporanee faticano a farsi spazio e farsi apprezzare. Dove c’è ancora chi non capisce che non esiste conflitto tra tradizione e modernità, ma solo costruttiva continuità. Dove si fatica a far capire che una cucina moderna che non ha la forma e il nome di quella tradizionale, non ne è la negazione ma il progresso, l’evoluzione, esattamente come dal carretto siamo passati all’automobile ma sempre di ruote parliamo. Dove chi, tra i cuochi in gamba e con il cervello in movimento, se va via – altrove, per crescere e ampliare orizzonti – viene apprezzato e gratificato e fa pure promozione della sua terra, quanto e meglio di chi sperpera quattrini senza neanche riuscirci. Dove, per poter parlare liberamente senza condizionamenti e pressioni della politica , delle istituzioni o di privati foraggianti, bisogna affidarsi e confidare in un genio visionario come Peppe Zullo che ha concretamente fatto e costruito semplicemente osservando, amando e sfruttando la bellezza che aveva intorno, e mettendo questo patrimonio a disposizione di chi la pensa come lui e non vuol saperne di arrendersi e far finta di niente.

Per farla, questa Puglia che ci piace, e per non morire, abbiamo deciso che dovevamo sì invitare professori, studiosi, giornalisti, imprenditori, artisti ed esperti di comunicazione a raccontare la loro idea di cibo, bellezza e felicità e a proporre ricette, soluzioni, progetti e suggerimenti per scuotere la Puglia dal suo lungo sonno di autocompiacimento e autoreferenzialità, ma dovevamo invitare anche i veri interpreti della cultura enogastronomica regionale, i prestigiatori del prodotto tipico che sanno incantare e far capitolare anche i più scettici, i detrattori, i mortificatori, i millantatori, quelli che remano contro e sguazzano, arricchendosi, nel pessimismo della crisi: i cuochi, quelli che lavorano in patria e quelli che sono andati altrove, i più giovani e i meno giovani, quelli che si rifanno alla tradizione e quelli che fanno avanguardia, i minimalisti e i barocchi, purchè professionisti, talentuosi e capaci di trasformare i frutti della terra e del suo lavoro in emozioni e felicità.

Abbiamo iniziato da pochi di loro, abbiamo iniziato in sordina, abbiamo faticato a strappare alcuni dalle cucine del nord oberate di eventi e clienti, ma ce l’abbiamo fatta. Angelo Sabatelli del ristorante omonimo di Monopoli, Maria Cicorella del Pashà di Conversano, Felice Sgarra dell’Umami di Andria, Gegè Mangano de Li Jalantuumene di Monte Sant’Angelo, Nazario Biscotti e Lucia Schiavone delle Antiche Sere di Lesina hanno potuto incontrarsi confrontarsi e misurarsi con i loro colleghi pugliesi doc in arrivo, con ogni mezzo, da tutta Italia: Lucio Mele dal suo Sale Grosso di Bologna, Felice Lo Basso dall’Alpenroyal di Selva di Val Gardena, Remo Capitaneo dal Devero di Cavenago in Brianza e Fabio Pisani dal mitico Aimo e Nadia di Milano. A coordinare, indirizzare e sostenere questa squadra, equamente divisa tra miti e irruenti, Alba De Leo – volto bravura e professionalità già note a molti di loro – infaticabile, preziosa e insostituibile compagna di quest’avventura il cui esito, fino alla sera della vigilia, faticavamo a immaginare. A godere delle loro creazioni, delle loro geniali intuizioni, dei loro sforzi in cucina, della loro idea di una Puglia che per primi vorrebbero più riconosciuta, apprezzata e stimata, tanti giornalisti, tanti appassionati e molti tra i migliori produttori della zona, gli amici immancabili di Peppe Zullo che non perdono un suo Appuntamento per regalare felicità ed essere a loro volta felici.

Il dado è tratto, a questo punto, e niente sarà più come prima. Da Orsara siamo partiti e a Orsara dobbiamo tornare. “Credo che  l’Italia sia  piena di tante piccole Orsara,  piccoli comuni  sempre più vacanti di giovani e di idee,  credo che ognuno di questi comuni  dimenticati meriti di avere il proprio Peppe Zullo con la sua  formula magica di cibo e  felicità” mi ha scritto Pietro Zito il giorno prima dell’evento. Detto da lui, che con Peppe Zullo è riuscito a far valicare alla Puglia dell’eccellenza gli angusti confini regionali, c’è da crederci. E farlo credere agli altri. “Believe to make believe” ama dire, non a caso, nel suo eloquio condito di inglese, Peppe Zullo. Tutto torna, insomma.

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