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mo’ better puglia

| danilo giaffreda

Un’estate lunga. Un’estate calda. Un’estate a passeggio per la Puglia in cerca di cuochi e ristoranti da raccontare su una guida che tra un mese si aggiungerà a quelle che già stanno scatenando una guerra civile tra detrattori e sostenitori. Questa è stata la mia estate, ricca di sorprese, innamoramenti e un positivo riscontro all’entusiasmo che mi ha portato e mi porta con crescente convincimento a sostenere l’impegno di quanti, in Puglia, investono e credono in una ristorazione di qualità, costruita con sacrifici e impegno – spesso dopo anni trascorsi a crescere e maturare lontano da casa – e disancorata, fortunatamente, dalla mera ed esclusiva logica del business.

La novità più interessante, però, è che molti tra quelli che aprono o trasformano un ristorante oggi, in Puglia – sono tantissimi a farlo, in barba alla crisi – sono giovani entusiasti, tecnicamente preparati, con idee chiare, amore per la propria terra e i suoi prodotti straordinari, che adottano formule economicamente accessibili e propongono cucine moderne, identitarie e soprattutto comprensibili.

Siamo lontani anni luce dai bistrot seriali finti delabrè tutti mattoncini rossi e arredi vintage che si moltiplicano con successo nelle grandi città, spesso con alle spalle gruppi imprenditoriali specialisti del settore: qui si fa tesoro di quanto si è visto e fatto altrove, ma poi ci si muove con attenzione e spendendo il giusto, arredando creativamente con modernità, freschezza e coerenza e contando, soprattutto, sulla forza della famiglia, una intramontabile e oggi più che mai preziosa risorsa che assicura esperienza, continuità, contenimento dei costi e condivisione degli obiettivi.

Di solito si fa affidamento su padri esperti di terra o mare, prodotti e produttori; su madri, mogli o compagne in sala o in cucina; su soci di avventura appassionati e consapevoli e soprattutto sulla rete di amici, parenti, conoscenti e social network come moltiplicatori di clientela. Molti di loro sono già sulle guide dell’establishment gastronomico mentre altri, forse, non ci finiranno mai. Di alcuni di loro se ne parla già da tempo mentre di altri se ne conosce appena l’esistenza. A nessuno di loro, però, è stato mai chiesto di saperne di più su sogni, motivazioni e progetti, perché di progetti spesso si tratta. Visioni un po’ azzardate della realtà, a volte ingenui altre sfrontate, ma – in fondo – tutte concrete assunzioni di responsabilità nell’interpretare e promuovere un territorio di cui si sa veramente poco e su cui c’è ancora molto da scoprire. Nessuna paura, quindi, a varcare la soglia di questi piccoli laboratori di felicità, dove l’ospitalità e la soddisfazione del cliente sono carburante di un’attività che diversamente arranca e ha il fiato corto.

Che si tratti del contagioso ottimismo dell’Umami o dell’accogliente casalinghitudine dello Scinuà, dell’autarchico sodalizio dei tre fratelli del Quintessenza o degli imperdibili piatti di mare pieds dans l’eau del Trabucco da Mimì, dell’ammiccante eclettismo esotico del Mint o della cucina disinvolta e colta del La Claque, poco importa. Dentro, indistintamente, in questi e altri esempi di questa contagiosa new wave pugliese, si ritrovano piaceri e maniere perdute, atmosfere concilianti e menu senza bisogno di traduttore simultaneo, sorrisi terapeutici e orecchie tese ad ascoltare, sapori dimenticati e proposte inconsuete, passione, determinazione e tanta convincente spregiudicatezza. Per questi coraggiosi e caparbi il passato non si cancella ma si trasforma, l’innovazione non è disprezzo della tradizione ma la sua necessaria evoluzione, l’umiltà e il rispetto del cliente non sono servile sottomissione ma complementi obbligatori della bravura. L’entusiasmo, la curiosità e l’attitudine all’attesa sono ipoteca sul futuro e garanzia di sopravvivenza, aggiungo io.

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