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prego si accomodi

| danilo giaffreda

La spina dorsale di una sala ristorante. La sua architettura. Quella calligrafia delicata di gambe e piani rotondi quadrati o rettangolari che può rendere armonico o far precipitare nel caos lo spazio del desinare. Una trama ordinata, ritmica, dei tavoli, arricchiti o meno dal tovagliato e accompagnati da sedute eleganti, essenziali e ben disegnate può davvero, da sola, risolvere contenitori anonimi e geometrie claudicanti.

Che si opti per una disposizione blindata – quella prediletta dall’alta ristorazione – o per una configurazione più plastica, meglio adattabile a un’offerta meno impegnativa e informale, quella trama deve essere sempre frutto di una serie di considerazioni preliminari che partano dalle imprescindibili esigenze del personale di sala per arrivare al benessere degli ospiti.

Il giusto spazio tra i tavoli è la prima regola di attenzione verso i clienti ma, soprattutto, verso i camerieri che lo attraverseranno millanta volte in ogni direzione. Ai primi assicurerà la giusta privacy, agli altri la possibilità di un servizio fluido e puntuale.

Per quanto riguarda i tavoli, quelli rotondi sono eleganti, perfetti per gli eventi e favoriscono la socializzazione tra commensali. Quelli quadrati o rettangolari si sceglieranno per la loro modularità in caso di sale soggette a frequenti cambi di lay-out. Per quanto attrattive e distintive, vanno evitate le interpretazioni artistiche del tema: curve o poligoni vari portano come niente al caos.

L’altezza deve essere proporzionale all’altezza delle sedute e viceversa. Un tavolo alto (spesso lo sono quelli d’epoca) abbinato a una seduta bassa (solitamente quelle moderne) o viceversa, costringe il cliente ad adattarsi con fatica o non adattarsi affatto, facendogli solo desiderare di allontanarsi al più presto dal ristorante. Il consiglio è quello di partire sempre dalla scelta delle sedute e orientarsi di conseguenza per i tavoli. Le sedie vintage, tanto in voga nei locali definiti più o meno debitamente bistrot, chiederanno necessariamente tavoli coevi o nuovi “su misura”, mentre è più difficile il contrario: un tavolo d’epoca potrà dialogare solo con sedie coeve in quanto non modificabile se non rischiando antiestetici adattamenti.

Le sedie devono essere innanzitutto leggere (i camerieri non sono body-builder) e comode, né troppo strette (una scelta infausta che spesso viene fatta per aumentare il numero dei coperti) né troppo ampie (costringerebbero il cliente a una sessione di ginnastica posturale). Sono da preferire quelle avvolgenti, con schienale lievemente reclinato, con seduta morbida in materiale traspirante o comunque sempre ergonomicamente sagomata. Preziosi e risolutivi i braccioli se c’è abbastanza spazio, se si vuole strafare, se il target cui si mira è decisamente alto.

Last but not least, il tovagliato. Aborrito dai minimalisti estremi, amato senza mezze misure dai nostalgici del lusso e del classico, rimane spesso appannaggio dei rappresentanti del settore. Il consiglio ai progettisti è di riappropriarsene. Un tessuto inadatto, troppo povero o eccessivamente prezioso o di colori inopportuni, può mettere in discussione un meritevole e attento lavoro di interior design. Molto meglio, allora, per evitare sorprese, il nude-look sdoganato dall’ultimo restyling de Le Calandre dei fratelli Alajmo: sensuale e primordiale matericità, lusso contemporaneo e palese dichiarazione d’intenti. Astenersi misofobi.

photo Laurence Mouton

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