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il gusto è dei curiosi

| danilo giaffreda

“Il gusto è dei curiosi”, recita il pay-off nella nuova campagna di comunicazione di una grossa azienda di snack che da qualche anno sta solleticando con successo quel coté di epicurei gastronomici tenuto a lungo a distanza dagli anatemi salutisti degli esperti medici di turno. E per l’ennesima volta la grande industria fagocita e rielabora a proprio piacimento e secondo i propri interessi  concetti e tendenze alimentari lanciate o rilanciate da nicchie gastronomiche che un po’ per pigrizia e un po’ per scarsezza di adeguati mezzi di comunicazione lasciano che altri se ne impossessino svilendole e mercificandole.

Se da una parte lo stesso mercato punta a tutto ciò che è “senza”: senza grassi, senza glutine, senza lattosio, senza sale, senza zucchero – e senza sapore, aggiungo – facendolo diventare inspiegabilmente più caro, dall’altra usa invece il  gusto come password di accesso a fette di consumatori aspiranti gourmet a buon mercato.

E gli chef, i filosofi dei fornelli,  i maître-à-penser dell’avanguardia, i rabdomanti del palato, nel frattempo, che fanno? Mentre c’è chi ancora si perde garrulo tra fiori eduli, germogli, equilibri acidi e sapidi, schiume e spume, c’è chi presta il fianco a questa riacquisita verginità dei monopolisti della GDO dispensando consulenze e svendendo la propria immagine e chi, invece, a questa sopita faccenda del gusto, spinta sino all’altro giorno come polvere sotto il tappeto quasi attenesse esclusivamente alla cucina e alla ristorazione popolari, ha continuato o torna a guardare con interesse,  con una curiosità – appunto – che si trasforma in ricerca, riscoperta, sperimentazione e rielaborazione, infine, in chiave contemporanea.

Il gusto, lo si riscopre, è quella roba che ti fa saltare sulla sedia, capace di smuovere emozioni  e garantirsi così comprensione universale.

Il gusto, la sua essenza, la sua capacità di condensare cultura empirica e cultura scientifica, è ciò che da sempre,  indipendentemente dai claim della comunicazione e nonostante le puntuali arricciature di naso intorno, considero il principale metro di valutazione di una cucina, di un piatto, di un cuoco e delle sue idee.

Il gusto, variamente interpretato ma univocamente percepito, è la firma che ha siglato molte delle mie migliori esperienze gastronomiche dello scorso anno e che, mi auguro, possa tornare a essere l’unico, vero e insindacabile tratto distintivo della cucina del futuro.

GENNAIO

A Torino, al ristorante Condividere, Federico Zanasi gioca a mescolare memorie, identità e suggestioni con grande personalità e non poco di quello spirito dissacratore alla base del Manifesto della Cucina Futurista pubblicato per la prima volta sulle pagine della Gazzetta del Popolo proprio nella città sabauda il 28 dicembre del 1930. Si mangiano con la pinza ma esplodono di gusto i suoi Tortelli di guancia di Fassona al vermouth ed estratto di alloro.

FEBBRAIO

Da uomo di terra abituato ad andare per mare, Michele Rotondo conosce venti e correnti e sa come tenersene lontano. Nella sua Masseria Petrino a Palagianello, la ricerca del gusto contro mode e tendenze domina al punto tale da far virare tutto, recentemente, sulle cotture in pignata nel camino che troneggia perentorio in sala, come quella di questa corroborante “Spezzatora” (spaghetti spezzati) in brodo di pesce, crudo di ricciola e parmigiano reggiano. 

MARZO

Allo scenografico banco in bella vista all’interno della Taverna del Porto di Tricase del pesce si sceglie specie e taglia, ma a come sublimarlo ci pensa Giovanni Ingletti, giovane chef di poche parole e zero tentennamenti. Il mare è di fronte e non lo si può tradire, ma se sai aggiungere poesia alla perizia rasenti il capolavoro. Come questi Tubettini al sugo di pesce con sgombri e triglie marinate e scottate e pomodorini infornati, capaci di sciogliere il freddo di una rigida primavera e anticipare l’estate.

APRILE



Se tra Italia, Spagna, Sud America e altre fascinazioni il rischio è di confondersi e distrarsi, a far gravitare saldamente a terra il giovane Michele Melillo ci pensano le radici e il sano pragmatismo di Anna Valiente, compagna nella vita e all’ Habla Bistrot di Andria. Così, tra un ceviche e un gazpacho, spuntano solide e inossidabili certezze come quella della Pancia di maiale nero 100 ore (il tempo di cottura a 65°) con cime di rapa e mandorle.

MAGGIO

All’ Oasis della famiglia Fischetti a Vallesaccarda l’ospitalità è un must e il gusto un credo. Ne sono testimonianza i diversi “sempre in carta” tra cui le irrinunciabili minestre o iconici manifesti territoriali come il Coniglio in porchetta, scarole, uvetta, olive infornate di Ferrandina e yoghurt di bufala che le due cuoche Lina Fischetti e Serena Falco (terza generazione in cucina) ripropongono stagionalmente con immutato amore per la felicità di noi avventori non per caso.

GIUGNO

Autodidatta e figlio d’arte, timido e riservato, Luca Abbruzzino sfodera carattere e sicurezza stravolgendo canoni territoriali e internazionali e proponendo con coraggio, liberata da condizionamenti e sovrastrutture, una Calabria dal gusto inedito e contemporaneo. Al ristorante Abbruzzino di Catanzaro la sua Anatra, composta di prugne, fondo bruno, pugna in carpione e crema di nocciole sa essere al tempo stesso fine dining e comfort food, fuori da schemi rigidi e precostituiti.

LUGLIO

Ancora in Calabria, è ancora un altro giovane cuoco a segnare il recente affrancamento della cucina regionale da un fatalismo antico  e immobilizzante. E’ la provincia in questo caso a generare sorpresa e speranza, quella dove Luigi Lepore ha fatto ritorno dopo esperienze formative e segnanti a tentare coraggiosamente una svolta. Fulminante e totemico il messaggio lanciato nel suo ristorante omonimo a Lamezia Terme con il Sorbetto al finocchio selvatico e arancia, peperoncino e olio extra vergine di oliva. 

AGOSTO

Sicuro e sempre convincente sul da farsi per far entrare in simbiosi e osmosi l’uomo e il sapore, Angelo Sabatelli sta rarefacendo sempre più il suo linguaggio per mirare all’essenza  e alla semplicità come antidoti alla confusione e all’incomprensione. Più il cerchio si stringe sul prodotto e la cultura locale, più il risultato si fa luminoso e definitivo. Come questa Torta frolla di pomodorini gialli e rossi canditi, ricotta forte e pesto. 

SETTEMBRE

Contro ogni timore e riserva, l’insperato connubio tra ragione e sentimento al Pashà di Conversano ha funzionato e il matrimonio che s’aveva da fare s’è fatto e pure in grande stile. Quello che Antonio Zaccardi, navigatore di lungo corso alla corte di Enrico Crippa ad Alba, ha sfoderato per affrontare una storia importante e un territorio promettente ma ancora in gran parte inespresso. I suoi Sivoni, ricotta alle mandorle e frutto della passione sono frammenti di un dialogo maturo e futuribile.

OTTOBRE

Quelle che i fratelli Ivan e Daniele Savino propongono nel loro Savì di Conversano, ereditando e traghettando nel futuro una storia lunga venticinque anni,  non sono più le crêpes del nostro immaginario pop e low quality, ma cucina d’autore che riesce a conciliare alta qualità e largo consenso. La Crêpe con mozzarella, salsa di zucchine alla menta, battuto di gamberi viola di Gallipoli e burrata è compendio e presidio di cultura regionale prêt-à-porter.

NOVEMBRE

Il risotto alla milanese del futuro abita in un chiosco dispensatore di bontà e modernità alle spalle di Corso di Porta Romana a Milano. All’Exit, dalla colazione al dopo cena, l’idea – riuscita – di conciliare il piccolo con il buono e il bello è racchiusa in uno spazio inversamente proporzionale al concetto e al livello della cucina che vi viene espressa. E che ha raggiunto la sua massima sintesi espressiva nello Stinco di vitello, riso, zafferano e parmigiano, capolavoro del giovane Claudio Rovai.

DICEMBRE

Se oggi Giuseppe Calvaruso riesce a conciliare tecnica e istinto conferendo eleganza a piatti di estrema semplicità e pulizia nonostante la giovanissima età lo deve, tra le altre, all’esperienza con Anne-Sophie Pic, la più grande donna della cucina francese di questo secolo. Sintesi e apice – per ora – di un promettente percorso in itinere all’ Aja Mola di Palermo è la sua Minestra di pasta mista all’aragosta,  salvifica overdose di serotonina in chiusura di decennio.

illustrazione  ©  Gianluca Biscalchin

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