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elogio della luce

| danilo giaffreda

Sono giorni tristi per Taranto, questi. Lo spettro della chiusura definitiva dell’ILVA, il ministro Clini contro la Magistratura, la Magistratura contro Riva, Riva contro la città, gli operai contro i cittadini, i cittadini contro quella polvere acre che col vento di maestrale mozza il respiro e ti fa maledire il giorno che ci sei nato, in questa città.

Poi, verso mezzogiorno, in una bella casa di Taranto Vecchia, una di quelle baciate dal sole di fronte a Mar Grande, spalanchi le persiane e l’oro entra copioso nella stanza, inonda le vecchie piastrelle di cemento colorato, imbianca le pareti, scivola sotto le porte, cancella il buio e con l’ombra dà vita alle cose, le disegna, le plasma.

Quella stessa luce piomba verticale tra i vicoli, asciuga il sudore dei muri, affila gli spigoli, illumina volti di pietra e di carne viva, veste il mare di argento e lo rende infinito, potente, gonfio di energia.

Dalla casa ai vicoli la vita stanca riprende fiato, perde peso e si libra felice per pochi, lunghissimi attimi. Vorresti fermarla per sempre quella luce. La fissi con la retina illudendoti di catturarla per poi usarla nel buio che tra poco si riprenderà prima le strade, poi le stanze, poi il cielo e infine i tuoi pensieri.

Quella luce mediterranea, drammatica, violenta, eppure necessaria, è l’illusione giornaliera di vivere nel migliore dei mondi possibili, è l’illusione della bellezza che t’incatena alla vita e te la fa sopportare, è l’illusione di un’alternativa per questa città che non vuole morire.

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