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bros: vivere e cucinare a scorrangeles

| danilo giaffreda

Manca solo una piscina alla David Hockney e poi il quadro è completo. C’è la villa, ci sono le palme, i cani, lo sportswear e il leisurewear. C’è la bellezza, quella esagerata di Isabella, e c’è l’esuberanza un po’ autoritaria di Floriano, più retaggio di una cultura misogina salentina che vera convinzione. C’è lo sport – guarda caso il rugby –  e c’è la famiglia, quella acquisita, gli amici, i fratelli, i bros’ della gang . E c’è, ovviamente, la cucina, quella da cui tutto ha avuto inizio.

Il quadro è quello di un altrove reinventato a propria immagine e somiglianza, e addomesticato alle proprie esigenze e ambizioni. L’altrove è l’oltreoceano, il sogno americano, il riscatto dall’anonimato e dal provincialismo, dalle ali tarpate per censo e natali, l’eldorado delle opportunità, della chance di cambiare un mondo se quel mondo non sa cambiarti. L’altrove è un mondo dorato frequentato negli anni della gavetta, quella nelle cucine del glam stellato internazionale, a sgobbare, scrutare, fagocitare pensieri e parole, gesti e trucchi, e introiettare, imparando. No, nessun quadernetto di appunti, nessuna pedissequa imitazione, nessun plagio, nessun tentativo di scansionare mentalmente per replicare mutatis mutandis. No, l’obiettivo era un altro: studiare i gesti, imparare la disciplina, capire i meccanismi, captare il metodo. Perché ci vuole metodo, sì, per passare dall’anonimato alle pagine delle riviste patinate, alla benevolenza della critica, agli entusiasmi spesso vampirizzanti del giornalismo di settore, nazionale e internazionale. Col metodo si impara a irretire, a sedurre, ad attirare l’attenzione e l’interesse. Col metodo si cresce, si cambia, ci si evolve, ci si affranca dal fatalismo e dall’accidia. Col metodo s’inventano mondi e mode, mondi  e mode in cui molti vogliono riconoscersi, mondi e mode a cui si vuole appartenere, mondi e mode da cui può venire il riscatto.

Scorrangeles, dove Floriano Pellegrino e Isabella Potì hanno deciso di tornare a vivere e che sempre più sarà il loro headquarter, non è più Scorrano ma neanche Los Angeles. E’ la Scorrano che tutti vorrebbero ma che nessuno, sinora, è stato in grado di immaginare e costruire. Da Scorrano si scappava, si emigrava, si andava altrove in cerca di ricchezza e redenzione. E Scorrano perdeva la sua identità, le radici, le tradizioni tramandate, il racconto degli anziani, la socialità della piazza, la sua ricchezza. Ma se tutti voltiamo le spalle al passato, ci sradichiamo, dimentichiamo identità e radici, non entriamo più nelle case ad annusare il tufo, ad attizzare ceppi nei focarili, a interrogare gli anziani, a restituire la parola a chi l’ha persa per sfiducia e stanchezza, a ridare coraggio a chi l’ha smarrito, a far capire che il coraggio è nella dignità e nell’orgoglio del quotidiano e nel non arrendersi alle sirene di una falsa modernità e di una ricchezza precaria, quel passato a un certo punto tornerà e ti distruggerà.

Scorrangeles, la Scorrano che Floriano e Isabella vorrebbero, è un Salento che vuole parlare internazionale, che non vuole più andare altrove a regalare talento e sacrifici, ma vuole che l’altrove venga qui a ritrovare anch’esso radici, ritmi e sentimenti perduti.  E’ un Salento che parla ancora il dialetto per non dimenticare, perché l’identità è anche nei suoni, nella reiterazione, nella musicalità delle parole, nel loro riandare a culture e civiltà che qui si sono avvicendate lasciando segni e semi. E’ un Salento griffato, un Salento tatuato, un Salento giovane e incosciente, un Salento che brucia tappe, un Salento che si nutre di social, un Salento ambizioso e dai toni perentori, camerateschi a volte, un Salento che non piace a molti ma a cui moltissimi – invece – guardano con interesse, curiosità, voglia di parteciparvi, di farne parte, una regione della vita in cui essere e a cui appartenere.

E’ un Salento, quello dei Bros’, in cui tutto parte dalla cucina, dove la cucina è il motore, il medium, il volano, il moltiplicatore di segnali e tendenze. Una cucina che vuole fare la rivoluzione e vuole sostituire melanzane e pomodori alla droga; fave e cicoria e fagioli in pignata allo spaccio; grembiule e toque alla corruzione; studio, sperimentazione e sacrificio al degrado, all’oblio, a scappatoie facili, a destini già segnati.

E’ un Salento, infine, che non vuole essere naif, iconografico, addomesticato all’idea – errata – che molti, troppi, si sono fatti sul suo conto, ma un invito a non vederlo più come successione di non luoghi o luoghi comuni che uno in fila all’altro portano a mare e lì si fermano, ma come un insieme di tasselli di un mosaico da ricomporre per capire, finalmente. E amare, diversamente.

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