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luce a sud-est

| danilo giaffreda

Il mare, innanzitutto. E soprattutto. Quello che puoi ammirare comodamente seduto sulle sdraio messe a disposizione dei clienti sul marciapiede di fronte. Quello che inonda di luce la sala, posando vita e vitalità sugli arredi spartani eppure caldi, mediterranei, avvolgenti. E quello che abili ed esperte mani in cucina restituiscono integro nei piatti, ieratico, vibrante.

Che quella che stai per vivere sarà un’esperienza unica e coinvolgente lo capisci già all’ingresso, dove la luce si smorza nella penombra per riaccendersi immediatamente dopo sui tavoli, sul ricco e scenografico bancone del pesce in bella vista, sui volti e i gesti affabili del personale pronto ad accoglierti e ospitarti al meglio. Una luce che è promessa, mantenuta nel susseguirsi di piatti che convincono subito per essenza e bellezza degli impiattamenti, ma si rivelano anche dotti saggi di equilibrio. Di colori, cotture, consistenze e sapori.

Il mare, alla Taverna del Porto di Tricase, è un affare di famiglia, radici che anziché affondare nella terra scandagliano da anni la profondità dell’Adriatico appropriandosene. Prima pescatori, poi commercianti di pesce, infine ristoratori: i Coppola – Mario, Enza e i due figli Alessandro e Pierluigi – hanno chiuso il cerchio  traendo il meglio da ogni evoluzione, assorbita e assimilata come meglio non si potrebbe. Le chiacchierate e le ricette elargite negli anni dai cuochi della zona che frequentavano la pescheria di papà Mario sono state scintilla di passione e culla di un progetto pensato, covato e infine realizzato con coerenza e dovizia di dettaglio. Nulla è lasciato al caso, nulla è procrastinato. L’hic et nunc è nella chiarezza di intenti e nel modo in cui questa viene trasferita al cliente. Qui il pesce è dogma, la sua freschezza un credo, la cottura una carezza. Non c’è inganno o artificiosa piaggeria, come in molta della ristorazione ittica salentina. Il menu è un canovaccio su cui intessere il racconto del mare nella sua autenticità e pienezza.

Si possono scegliere i capisaldi della cucina ittica – il granfritto di paranza in primis, dall’ottimo e rassicurante profumo, una vera rarità – oppure provare  le linguine aglio, olio, peperoncino e frutti di mare, signature dish della casa, vivamente consigliato. O, ancora, scegliere un pesce, uno, e farselo declinare in più modi dall’estro saldamente governato dello chef Giovanni Ingletti e i suoi validi collaboratori in cucina. Nel mio caso, un umile sgombro di prorompente freschezza ha occupato e tenuto la scena, senza incrinazione alcuna, in più proposte convincenti: amuse bouche ruffiano, in apertura, su una bruschetta con un ricciolo di stracciatella e pomodorini invernali;  acuto virtuoso, insieme all’aringa, nelle polpette di pane in brodo vegetale,  una sorta di ramen balsamico e consolante appena blandito dalla nota rinfrescante del finocchietto selvatico; in carpaccio, abbinato a croccanti carciofi e cipolline in agrodolce, abilmente speziato dalla nota demodè ma risolutiva del pepe rosa e, infine, in tandem strategico con la triglia nel mare assoluto dei tubettini risottati in denso e corroborante sugo di pesce, madeleine di ogni bravo marinaio cresciuto a pane e iodio.

Riverberano la stessa generosa e puntuale luce anche il pane, i grissini e i dolci fatti in casa, i liturgici crudi di mare, l’idea di completare l’offerta con una piccola oculata selezione di pizze intelligentemente servite al piano di sopra, l’ordine maniacale in cucina, nei laboratori e in dispensa, l’attenzione a ogni minimo dettaglio e la passione esondante dalle parole di Alessandro, furetto incontinente di aneddoti, progetti e futuri sviluppi.

Più che finis terrae, come gli antichi Romani chiamavano ignari del futuro questo lembo estremo di Salento, a me pare un ottimo inizio.

Taverna del Porto
Lungomare Cristoforo Colombo 121
Tricase Porto (LE)
tel. 0833.775336
www.tavernadelporto.com

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