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l’aria serena dell’est

| danilo giaffreda

Frastornato da incongrui capannoni industriali alternati a scuri uliveti miracolosamente superstiti, quasi non distinguo quel che resta dell’antica recinzione della Masseria Spina e, rischiando un pauroso tamponamento, inchiodo, sterzo e infilo in tempo l’angusto varco d’ingresso tra due colonne in pietra.

Tira vento gelido dai Balcani, stasera, e sarebbe stato più logico tirare dritto a casa piuttosto che bighellonare sulla costa apula orientale, ma una telegrafica recensione scoperta per caso su un’autorevole blog mi ha incuriosito non poco su Angelo Sabatelli, lo chef che da poco ha preso le redini del ristorante all’interno di questa storica struttura monopolitana.

L’atmosfera, all’interno, fa svanire di colpo i miei sensi di colpa e il calore che subito mi avvolge è quello della bellezza congenita delle vecchie dimore pugliesi, assecondata con garbo e gusto da un arredamento che ne esaltato colori e materia, senza sovrastare e sommergere.

La sala principale è espressione riuscita della raffinatezza ed eleganza di questa terra di confine, fatta di essenza e frugalità: il calore della pietra levigata dai passi e dal tempo a terra e di quella dorata degli archi a spicco sul candore dell’intonaco sulle pareti; il rincorrersi sensuale di archi, volte e nicchie quasi modellate a mano nella loro assenza di spigoli vivi e porose come meringa; il candore della tela grezza tessuta a telaio e la sobria mise en place sul legno scuro e grezzo dei vecchi tavoli recuperati.

Tutto sembra concorrere all’idea che anche a tavola aleggerà una concezione di cucina della tradizione, ben eseguita, raffinata, ma pur sempre della tradizione, quando, invece, già dall’amuse bouche si capisce che qui si scompaginano i confini e si viaggia subito alto e lontano: la “cipolla rossa ripiena di canestrato al sentore di vaniglia con raviolo ripieno di maiale con salsa barbecue” parla subito del percorso professionale dello chef e parla internazionale, anzi orientale. Ma se il raviolo, in realtà, è un dim-sum che palesa il suo amore per l’Estremo Oriente dove ha trascorso gran parte della sua vita professionale, è vero anche che la cipolla rossa e il canestrato denunciano che quell’amore si è innestato su quello mai sopito per la sua terra, da dove è partito, come dice lui, in cerca di risposte e dove, infine, è tornato per trovarle.

Un amore, quest’ultimo, che si fa materia viva e palpitante all’antipasto: “uovo di masseria cotto a bassa temperatura con salsa al pomodoro e chips di pane”. E’ la madeleine proustiana della serata, un ricordo struggente d’infanzia, quando questo piatto, tanto semplice quanto irresistibile, risolveva le cene invernali, spazzato da interminabili scarpette con pane pugliese, qui sintetizzato in più contemporanee e dietetiche chips.

Con la “zuppa thai ai funghi cardoncelli con calamarata di pasta e gamberi alla maionese di lime” il clima da recherche si replica e siamo di fronte a un piccolo, paradigmatico, capolavoro di memoria. Ci sono le sue radici, c’è la sua storia, la storia della sua formazione, tutta orientale, tra Hong Kong e Shangai, dopo l’esordio, giovanissimo, tra queste stesse mura e c’è la volontà di non disperdere un atomo di questa ricchezza. Tutto sapientemente riassunto in una piccante e corroborante minestra che sa di mare, di terra, di porti e di spezie, di amori abbandonati che lasciano cicatrici. Un piatto, in una notte fredda e tagliente come questa, sferzata dal Grecale, in cui è bello perdersi per ritrovarsi altrove, ripercorrendo a ritroso il viaggio di Angelo.

Ma il colpo da maestro, l’abilità a mescolare tradizione e contemporaneità, lusso e frugalità, arriva, fragoroso e irruento, con la “sella d’agnello con scaloppa di foie gras, crema di topinambur alla vaniglia e carciofi alla brace”, che è interpretazione alta della terra, della mineralità e della dolcezza insieme dell’elemento naturale, e che, per imperfettibilità di esecuzione, ha la sua location ideale in una sala da pranzo di un Grand Hotel, un luogo di raffinatezza estrema, di camerieri in guanti bianchi, di cloches e candelabri argentei e clientela internazionale giramondo.

Quella in cui si trasfigura, per incanto, questa sera, questa sala, in una fredda notte d’inverno, per sognare, ricordare e innamorarsi, aiutati dal calore di un sincero Negramaro e la passione che esonda, copiosa, da ogni dove.

Ristorante Masseria Spina, Viale Aldo Moro 27, Monopoli (BA)

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