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la quadratura del cerchio

| danilo giaffreda

La piazza di Badoere è un cerchio perfetto nell’intrico viario del nord-est, è rotondità precisa spaccata in due dal traffico di mezzi pesanti che violentano la sacralità della sua geometria e il miracolo architettonico delle barchesse sul suo perimetro.

Attraversarla e fermarsi al suo interno fa sentire punto focale, chiave di volta di un magico equilibrio; contemplare dal suo interno con lento piano sequenza le barchesse dà un senso di vertigine, quel senso di vertigine che solo l’armonia e la bellezza sanno dare, facendo perdere senso del tempo e del luogo.

Ciò non evita tuttavia di notare, sotto i portici di una delle barchesse, qualcosa di estraneo, avulso dall’aurea staticità della piazza, una presenza dinamica che si denuncia in luci, forme e materiali “nuovi”, contemporanei, eppure rispettosi del genius loci.

Dal Vero, come annuncia l’insegna all’esterno, è un ristorante ma vuol dire anche, in dialetto veneto, “dal vetro”, e cioè che, come mi accerterò subito dopo, che chi dirigerà la serata lo farà guardandoti dalla trasparenza della sua cabina di comando, mettendosi a nudo nell’atto del creare.

Il padrone di casa, Ivano Mestriner, è infatti dietro il suo “vero” ma, con occhio svelto e intelligente, scruta la sala e “misura” l’aria: vuole capire subito, dalle richieste dei suoi clienti, se può spingere l’acceleratore a tavoletta o giocare di frizione e cambio, se cercano nuovi confini o se, semplicemente, pensano di trascorrere solo una piacevole serata.

C’è posto per tutti, “dal vero”, ma a Ivano, viso e sorriso di immediatezza e trasparenza, piace correre veloce, bruciare le tappe, vivere intensamente, godere del respiro della vita e far godere di conseguenza chi ha la fortuna di passare da queste parti e arrendersi docilmente alla sua inarrestabile vitalità.

In carta c’è pesce e carne, in tagli e razze umili e pregiate, ci sono primizie del territorio, ci sono germogli e fiori, ci sono sia carotine baby che tradizionalissimi asparagi verdi di Badoere, il tutto proposto in versioni soft per chi vuole andare sul sicuro o border line per chi accetta il fatto che in cucina non c’è limite alcuno e che si può sconfinare con esiti esaltanti. Basta scegliere.

E io scelgo e mi schiero tra quelli che a Mestriner non pongono limite alcuno, senza barriere e confini, con infinita e reciproca fiducia, perché se ho varcato questa soglia è perché voglio andare “oltre” la regolare geometria della piazza qui fuori e pensare che, forse, a volerlo, la piazza da rotonda può diventare quadrata. Almeno per una sera, almeno stasera.

Il ghiaccio viene subito rotto da una serie di appetizers che parlano del territorio, lo traducono al meglio, lo sublimano e lo trascendono, per poi partire in un viaggio rutilante di geometrie e gusti senza freni e inibizioni.

La “vellutata di asparagi di Badoere”, con tuorlo e albume d’uovo setacciati e mezzo uovo di quaglia ripieno d’aceto e olio emulsionato, è in un piatto fondo con decoro a gorgo come a gorgo è la concentrazione dei sapori che volge, alla fine, sull’epicentro dell’uovo che sorprende per il contrasto tra la morbidezza dell’olio e la punta acida dell’aceto, per poi perdercisi dentro. Il “tris di tartare di carni” tra cui quella, inquietante, di cuore di bue, proposta hard core, fugacemente repulsiva a guardarla ma straordinaria a gustarla, appare in un piatto rettangolare di straordinario candore dagli spigoli perfettamente vivi, taglienti, a marcarne lo spiccato carattere. E ancora, il “risotto affumicato”, dal gusto complesso e criptico, appena addolcito da un carpaccio di strepitoso gambero rosso siciliano, appare in un piatto né quadro né tondo, ma con quattro spigoli che si rincorrono deformandosi, una geometria “alterata”, quasi come la percezione della pietanza, che non é di immediata comprensione, ma quasi si ritrae per svelarsi poi lentamente, regalando gioie tanto più intense quanto inattese.

Ma il coup de foudre arriva con una proposta dall’estetica di chiara ispirazione nipponica: un pesce San Pietro in tranci, avvolti da riso nero croccante e adagiati su coulisse di carote allo zenzero, intercalati da taccole crude e croccanti. Un piatto fulminante per nitidezza e purezza dei sapori, che non si fondono, non si amalgamano, ma colpiscono per la loro marcata terrosità e profondità da viscere del sottosuolo, caratteristiche inattese da un piatto di pesce che si presumerebbe delicato e suadente.

Questo piatto è paradigmatico di come Ivano tratti il pesce come “carne”, di come ami talmente la carne da trattare il pesce ala stessa stregua: il pesce per lui non è materia delicata, da contrapporre alla incisività della carne; carne e pesce sono uguali, sono carni di esseri animali e come tali vanno trattate, manipolandole e trasformandole, materia viva e pulsante sotto le luci taglienti della cucina al di là del “vero”, per ottenere nuove e sempre più esaltanti prospettive sensoriali.

La cucina di Ivano è scelta precisa di non conformarsi, non è piaciona né ammiccante, non é tesa a provocare piacere facile e diretto, ma a farlo cercare, piuttosto, tra le righe, tra sapori che si annunciano in un modo e diventano altro, riflettendo, rimuginando, per arrivare infine alla consapevolezza del piacere e alla condivisione, con l’artefice, di un’esperienza gastronomica senza precedenti.

Mai nome di ristorante fu più appropriato: il “vero”, il vetro, è la cifra di comprensione di Ivano, la cui cucina è di nitidezza e trasparenza talmente eccessiva che, come quando si guarda attraverso un cristallo, tende a deformarsi e ad assumere nuove ed emozionanti forme, come il suo famoso piatto senza geometria, che da quadro tende a diventare tondo. Forse, una nuova geometria. Certamente, una cucina nuova.

Ristorante Dal Vero
Piazza Indipendenza 24, Morgano (TV)

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