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et fiat lux

| danilo giaffreda

Alogena, a led, fluorescente o a incandescenza? Puntuale, soffusa o diffusa? Occulta o spudoratamente esibita?

Gli interrogativi sul tema della luce sono sempre tanti ma hanno un solo grande difetto: arrivano sempre alla fine, quando il progetto è già abbondantemente in itinere, le tracce aperte e richiuse, i pavimenti posati, le pareti tirate a gesso come guscio d’uovo. I punti luce sono lì, laconici, in parte dove li aveva previsti l’architetto. Il primo. In parte dove li aveva aggiunti un altro architetto. Il secondo. In parte dove li avevano consigliati, nell’ordine: gli amici che avrebbero voluto fare gli architetti ma alla fine hanno fatto altro, l’impiantista – che viene pagato a punto luce e, ovviamente, abbonda – e il committente, che solo alla fine però fa outing e svela le sue vere aspirazioni, tutte puntualmente disattese.

Il progetto della luce, nel ristorante perfetto, deve andare di pari passo con il progetto architettonico, se non anticiparlo. Cosa si mangerà? A che tipo di clientela ci si vuole rivolgere? Ci si può permettere di scialare allegramente o ci si immola per il risparmio energetico tout court? Che tipo di atmosfera si vuole ottenere? E’ necessario vedere ciò che c’è nei piatti con precisione chirurgica o è possibile rarefare l’illuminazione con effetti teatrali sapientemente dosati?

Progettare la luce significa proprio questo. Interpretare il concept, essere capaci di immaginare e anticipare al cliente il risultato finale, mettendo in chiaro da subito – con elaborati tecnici puntuali ed esaustivi – cosa andrà dove, quanto consumerà e l’atmosfera che ne conseguirà. Spesso, però, anche i migliori progettisti di interni o i migliori light designer sul mercato non fanno centro. Bellissimi e originalissimi concept vengono mortificati da luci sbagliate. Troppe. Troppo alte. Troppo basse. Troppo a basso consumo. Troppo lo spreco, percepito realmente – e dolorosamente – solo all’arrivo della prima bolletta.

La migliore scelta illuminotecnica per il ristorante perfetto è senza dubbio quella puntuale. Punti luce, cioè, proiettati esclusivamente sui tavoli, che si trasformano in isole luminose fluttuanti nello spazio pressoché buio intorno. L’impressione, per i commensali, deve essere quella di sentirsi al centro dell’attenzione del servizio di sala, indipendentemente dai costi.

Che si scelga il minimalismo dei faretti occultati nel controsoffitto o la ritmica suggestione delle sospensioni, il grado di precisione della progettazione deve essere alto e prestare occhio e orecchio al lay-out di sala: quanti tavoli, dove verranno posizionati, come verranno eventualmente aggregati in caso di eventi particolari, il colore e il tipo di tessuto scelto per il tovagliato, il grado di riflessione dei materiali in caso di nudità dei top, sempre più in voga con buona pace di puristi e tradizionalisti.

Se il lay-out di sala, al contrario, sarà soggetto a frenetico trasformismo per precisa scelta strategica della committenza, conviene orientarsi su una trama ordinata e compatta di corpi illuminanti tale da garantire l’omogeneità dei lumen e la eliminazione delle zone d’ombra.

Vanno invece abbandonate al loro inevitabile declino le lampade fluorescenti (effetto supermercato, mensa o neon art da installazione museale), gli applique in generale (vampiri di luce da relegare esclusivamente nei servizi igienici, sopra gli specchi, dove assolveranno egregiamente alla loro funzione), le lampade alogene (sicuramente performanti quelle di nuova generazione, ma il consumo energetico rimane proibitivo), quelle a basso consumo ante – led (le forme e la qualità di luce più brutte che la storia dell’illuminotecnica ricordi) e le care, vecchie, romantiche incandescenze.

Fiat lux, quindi, ma con parsimonia, intelligenza e, soprattutto, lungimiranza.

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